Equo compenso per commercialisti ed esperti contabili: parametri da aggiornare

In base alla legge n. 49/2023, il compenso professionale è considerato equo se rispetta i parametri stabiliti dai decreti ministeriali pertinenti. Per i commercialisti, ciò significa fare riferimento al D.M. n. 140/2012. Si tratta però di parametri che non sono stati aggiornati neppure con la rivalutazione ISTAT e che, quindi, dopo oltre 12 anni, non rappresentano più onorari adeguati all’importanza dell’attività professionale prestata. Mancano, inoltre, criteri univoci e oggettivi per definire l’effettiva congruità del compenso. L’attuale quadro normativo non fornisce parametri sufficientemente dettagliati per valutare compiutamente l’adeguatezza economica delle prestazioni professionali, e cosa ancora più grave, non tutte le prestazioni professionali sono comprese tra le previsioni del D.M. n. 140/2012 e conseguentemente quantificabili ai fini dell’equo compenso. Tutte lacune che il Legislatore dovrà adoperarsi per colmare.

La legge n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio 2023, ha introdotto un’importante disciplina riguardante l’equo compenso per i professionisti, in particolare per i dottori commercialisti e per gli esperti contabili. Questa normativa mira a garantire che i compensi percepiti dai professionisti siano equi e proporzionati alla qualità e quantità del lavoro svolto.

Secondo l’art. 1 della legge, un compenso è considerato equo se rispetta i parametri stabiliti dai decreti ministeriali pertinenti.

Per i commercialisti, ciò significa fare riferimento al D.M. n. 140/2012 “Parametri” che stabilisce le tabelle dei compensi da applicare, ancorché tale decreto nasca a seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali prevista dall’art. 9, comma 1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, unicamente come strumento di supporto all’organo giurisdizionale per determinare correttamente, in caso di contenzioso, gli onorari dovuti per le attività svolte dai commercialisti e dagli esperti contabili.

La legge definisce come “non equi” quei compensi che sono inferiori ai minimi stabiliti, rendendo nulle le clausole contrattuali che non rispettano queste disposizioni.

L’applicazione dell’equo compenso mira a garantire che i professionisti non solo siano retribuiti adeguatamente, ma anche che possano esercitare la loro professione senza timore di vedersi imporre clausole vessatorie.

Equo compenso con ambito di applicazione limitato

Attualmente l’equo compenso si applica esclusivamente a prestazioni professionali prestate ai così detti “clienti forti” ovvero in grado di imporre quantificazioni proprie agli onorari professionali facendo leva anche a ritorni di immagine per il commercialista o l’esperto contabile.

Queste imprese sono le imprese bancarie, le imprese assicurative, le imprese con ricavi annui superiori a 10 milioni di euro o più di 50 dipendenti e la Pubblica amministrazione (con alcune eccezioni) ma non altre imprese o lavoratori autonomi.

A tale proposito, pure se la legge n. 49/2023, che introduce il principio dell’equo compenso per i professionisti, ha sollevato entusiasmo, ha anche prodotto diverse preoccupazioni tra i professionisti e le associazioni di categoria, proprio per l’attuale ambito di applicazione limitato.

Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ha chiesto l’estensione dell’applicazione dell’equo compenso a tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, per garantire una maggiore equità per tutti i professionisti.

In particolare, sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, i patti che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l’anticipazione di spese, che garantiscano al committente vantaggi sproporzionati, che prevedano termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura.

Il ricorso, in caso di mancata applicazione dell’equo compenso, può essere proposto sia dal professionista che dagli ordini e dalle associazioni delle professioni non regolamentate che possono proporre anche class action comuni.

Sono previste anche novità anche in tema di prescrizione, quali il diritto del professionista al compenso e alla richiesta di danni provocati dal professionista si prescrivono in 10 anni con decorrenza iniziale dalla cessazione del rapporto con il cliente e decorrenza finale dal giorno del compimento della prestazione: e non più dal momento in cui il cliente si avvede dell’errore.

Infine, viene istituito presso il Ministero della Giustizia un osservatorio per la vigilanza sulle nuove norme.

Si tenga presente che le pattuizioni già sottoscritte prima dell’entrata in vigore della legge non sono soggette alle nuove disposizioni, tuttavia, è possibile stabilire accordi particolari con i Consigli nazionali degli ordini professionali per rendere eque tali nuove determinazioni.

In ogni caso la legge sull’equo compenso rappresenta un passo significativo verso la protezione dei diritti dei professionisti. Essa non solo stabilisce i minimi degli onorari per le prestazioni professionali. Ciò significa che i professionisti possono contestare le disposizioni contrattuali sfavorevoli e chiedere la rideterminazione del compenso, garantendo una maggiore protezione dei loro diritti.

Cosa prevede il nuovo Codice deontologico dei commercialisti

Articolo 25 – Equo compenso

a) di convenire con il cliente, in qualunque forma, un compenso per l’esercizio dell’attività professionale che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale di riferimento;

b) che proponga al cliente convenzioni, contratti o altri accordi, da lui esclusivamente predisposti, aventi ad oggetto l’esercizio dell’attività professionale, di informare il cliente che è nulla la pattuizione di compensi che non siano giusti, equi e proporzionati alla prestazione professionale richiesta e che non siano determinati in applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale di riferimento.

2. Al fine di valutare se il compenso pattuito sia giusto, equo e proporzionato deve tenersi conto, caso per caso:

a) del valore e natura della pratica;

b) dell’importanza, difficoltà, complessità della pratica;

c) delle condizioni d’urgenza per l’espletamento dell’incarico;

d) dei risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente;

e) dell’impegno profuso anche in termini di tempo impiegato;

f) del pregio dell’opera prestata;

g) dei parametri previsti dal decreto ministeriale di riferimento.

Gli ordini professionali sono chiamati anche ad adottare norme deontologiche per sanzionare i professionisti che violano le disposizioni sull’equo compenso. Questo meccanismo di controllo interno contribuisce a mantenere elevati standard etici e professionali, tutelando così i diritti dei lavoratori nel settore, infatti, sono previste sanzioni disciplinari per i professionisti che violano le disposizioni sull’equo compenso.

Le lacune da colmare

Alla data odierna esistono alcune lacune che richiedono un intervento rettificativo.

Il primo aspetto che richiederà necessariamente un intervento da parte del legislatore, in accordo con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili, è quello che i parametri attualmente in vigore, per il calcolo dell’equo compenso, stabiliti dal D.M. n. 140/2012 non sono stati aggiornati neppure con i parametri della rivalutazione ISTAT, e conseguentemente dopo oltre 12 anni non rappresentano più onorari adeguati all’importanza dell’attività professionale prestata.

Altro aspetto di criticità è quello che l’applicazione dell’equo compenso solo alle categorie professionali ordinistiche e ai professionisti organizzati in registri, elenchi e associazioni (legge 4/2013) può determinare situazioni di discriminazione e distorsione della concorrenza, poiché professionisti non iscritti agli ordini possono operare senza alcun vincolo, creando un contesto di concorrenza sleale nei confronti di coloro che sono soggetti alla legge.

Più recentemente sono inoltre sorti dubbi interpretativi che riguardano il coordinamento tra la legge sull’equo compenso e il nuovo Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023). La mancanza di chiarezza su come le due normative interagiscano ha portato a situazioni di disapplicazione della legge da parte delle stazioni appaltanti, creando confusione nel settore.
Occorre inoltre non sottovalutare l’aspetto dell’assenza di criteri univoci e oggettivi per definire l’effettiva congruità del compenso. L’attuale quadro normativo non fornisce parametri sufficientemente dettagliati per valutare compiutamente l’adeguatezza economica delle prestazioni professionali, e cosa ancora più grave, non tutte le prestazioni professionali sono comprese tra le previsioni del D.M. n. 140/2012 e conseguentemente quantificabili ai fini dell’equo compenso.

In conclusione

La legge n. 49/2023 offre strumenti significativi per tutelare i diritti dei lavoratori nel settore professionale, promuovendo un ambiente di lavoro più equo e giusto. Attraverso l’introduzione dell’equo compenso, la nullità delle clausole vessatorie, le sanzioni deontologiche e altre misure protettive, la legge mira a garantire che i professionisti ricevano una remunerazione adeguata e proporzionata al lavoro svolto, contribuendo così a una maggiore equità nel mercato del lavoro.

Si auspica tuttavia una revisione della norma improntata a risolvere i nodi ancora esistenti!

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