Il documento n. 2 del 2025 di AIDC LAB si occupa della sentenza 6 febbraio 2025 della CEDU, che ha valutato (trovandola inadeguata) la legittimità della normativa italiana in tema di accessi presso i luoghi di lavoro. Quali valutazioni impone di fare nell’ambito delle liti? Considerato che l’art. 7-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente prevede che non siano utilizzabili “ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti in violazione di legge”, un mezzo istruttorio acquisito nel corso di un accesso nella sede aziendale non conforme alla Corte EDU è assimilabile a una prova acquisita in violazione di legge?
Secondo la Corte, le norme italiane attribuiscono eccessiva discrezionalità all’autorità fiscale in quanto non prevedono criteri oggettivi, né obblighi di motivazione che giustifichino gli accessi nei locali del contribuente. Inoltre, manca un controllo giurisdizionale preventivo, carenza che è lenita in misura insufficiente dalla possibilità di impugnare gli accertamenti una volta notificati. Per questi motivi, la disciplina italiana non assicura il livello minimo di tutela richiesto dalla Convenzione Europea.
La sentenza della Corte EDU è suscettibile di incidere sui giudizi tributari, nella misura in cui le prove raccolte durante accessi non conformi alla Convenzione EDU siano inutilizzabili ai sensi dell’art. 7-quinquies dello Statuto del Contribuente.
Preso atto dell’arresto della Corte Europea, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria del 6 maggio 2025, ha rinviato la propria decisione in relazione a un ricorso ove si contestava la legittimità della verifica, per permettere al PM e alle parti di esprimersi sulla rilevanza della sentenza della Corte EDU, riconoscendone l’impatto potenziale sull’inutilizzabilità delle prove.
La questione centrale è se tali accessi possano essere considerati avviati in violazione della legge, anche alla luce del rilievo normativo della Convenzione EDU nell’ordinamento UE.
La problematica
Il secondo documento emesso da AIDC LAB nel 2025 testimonia che il focus del laboratorio di idee di AIDC Milano è quello delle più recenti evoluzioni del diritto, siano esse correlate alle nuove leggi, ovvero alle sentenze più recenti che ne plasmano l’interpretazione. Nel caso, l’interesse è suscitato dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) il 6 febbraio 2025, che ha valutato la legittimità della normativa italiana che dispone in tema di accessi presso i luoghi di lavoro, trovandola inadeguata.
Le norme di riferimento
Salvo il caso in cui i locali siano adibiti anche ad abitazione (per accedere ai quali è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica), la normativa italiana attribuisce una completa autonomia a Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate.
Anzitutto, l’art. 35, legge 7 gennaio 1929, n. 4, stabilisce che “gli agenti della polizia tributaria hanno facoltà di accedere in qualunque ora […] in ogni locale adibito ad un’azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche”.
Inoltre, in tema IVA, l’art. 52, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 stabilisce gli “uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali […] per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni”, mentre in tema di accertamento e di imposte dirette l’art. 33, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 stabilisce che per “l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell’art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
Eppure l’art. 14 della Costituzione stabilisce l’inviolabilità del domicilio, inteso non solo quale luogo in cui la persona conduce la propria vita privata, ma anche quale luogo dove la persona svolge la propria attività lavorativa, e che, pertanto, non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Più specificamente, l’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Convenzione EDU), stabilisce che:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La sentenza della Corte EDU
Con sentenza del 6 febbraio 2025 la Corte EDU ha accolto il ricorso n. 36617/18, e altri 12, nella Causa Italgomme Pneumatici S.r.l., e altri, ritenendo che il quadro giuridico italiano “dovrebbe indicare chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a procedere a verifiche in loco e a controlli fiscali sui locali commerciali e sui locali adibiti ad attività professionali”, imponendo “alle autorità nazionali l’obbligo di fornire una motivazione, e dunque di giustificare la misura in questione sulla base di tali criteri”, nonché “il contribuente, al più tardi al momento dell’avvio della verifica, deve avere il diritto di essere informato dei motivi che la giustificano e della portata della stessa, del suo diritto di essere assistito da un professionista, e delle conseguenze del suo eventuale rifiuto di autorizzare la verifica”.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che “il quadro giuridico interno dovrebbe chiaramente prevedere un controllo giurisdizionale effettivo di una misura contestata e, in particolare, un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle restrizioni riguardanti le condizioni che giustificano tale misura e la loro portata” da attivarsi “prima che il controllo sia completato” e non successivamente, una volta terminato il controllo ed emesso l’atto di accertamento.
L’ordinanza della Corte di Cassazione
La sentenza della Corte EDU è intervenuta successivamente all’udienza di discussione e alla riserva di decisione formulata dalla Corte di Cassazione nell’ambito di un ricorso di un contribuente il quale aveva contestato una verifica fatta sulla base di un’autorizzazione rilasciata dal locale Comandante del nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza. In tale ambito, il contribuente aveva evidenziato “l’obbligo, in capo al giudice italiano, di disapplicare, in caso di tributi cd. armonizzati, la normativa interna in contrasto con quella dell’Unione (o di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267, comma 3, del TFUE); dall’altro, in caso di tributi non armonizzati, la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa interna” per contrarietà all’art. 14 della Costituzione “come integrato” dall’art. 8 della Convenzione EDU.
In quella circostanza, preso atto dei profili di illegittimità negli accertamenti per contrasto con l’art. 8 della Convenzione EDU, suscettibile di rilevo nel giudizio, la Suprema Corte, con l’ordinanza interlocutoria 6 maggio 2025, n. 11910, ha assegnato al Pubblico Ministero e alle parti un termine di 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per il deposito in di osservazioni.
Le valutazioni da fare nell’ambito delle liti
Considerato che l’art. 7-quinquies dello Statuto dei diritti del Contribuente (legge n. 212/2000), nel testo attuale, prevede che non siano utilizzabili “ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti in violazione di legge”, AIDC LAB si chiede se un mezzo istruttorio acquisito nel corso di un accesso nella sede aziendale non conforme alla Corte EDU sia assimilabile a una prova acquisita in violazione di legge. E ciò tenendo presente che l’art. 6 del Trattato sul Funzionamento UE richiama la Convenzione EDU che, nella misura in cui assume forza di norma europea, induce il Giudice alla disapplicazione della norma domestica in contrasto.
Il suggerimento, quindi, è quello di valutare, in particolare, la specificità dei motivi che hanno indotto alla verifica e, nel caso, contestarne la legittimità, sulla traccia di una bozza riportata in calce al documento.
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